Schiamazzi notturni, a subirne le conseguenze non è soltanto il gestore del locale
Può essere condannato per inquinamento acustico il titolare di un esercizio pubblico per gli schiamazzi notturni provocati dai suoi avventori all’esterno?
Se n’è occupata la Cassazione (sez. 3, n. 22142 del 8 maggio 2017) che ha concluso confermando la condanna a un mese e 10 giorni di arresto a carico del gestore di un pubblico esercizio di Mereto di Capitolo (Udine), ritenuto responsabile di aver creato disturbo al riposo dei residenti nelle vie limitrofe "non impedendo gli schiamazzi degli avventori che stazionavano all’esterno del predetto esercizio e che si protraevano sino a tarda notte". La norma violata è l’articolo 659 del codice penale che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro "chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici".
La Suprema Corte, confermando un suo precedente orientamento, ha ritenuto, infatti, che il gestore di un pubblico esercizio ha, in primo luogo, l’obbligo di esercitare un potere di controllo rispetto alle condotte poste in essere da parte dei suoi clienti che si trovano all’interno del locale, adottando le misure più idonee a impedire che determinati comportamenti da parte degli utenti possano sfociare in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica.
Ma lo stesso obbligo sussiste "anche per gli schiamazzi e i rumori prodotti dagli avventori all’esterno del locale, potendo il titolare ricorrere ai più vari accorgimenti (…) in modo che esse vengano consumate all’interno del locale, fino al ricorso all’autorità di polizia o all’esercizio dello ius excludendi quando essi siano comunque direttamente riferibili all’esercizio dell’attività, come nel caso in cui gli avventori permangano rumorosamente in sosta davanti al locale. Fermo restando che, fuori da tali casi, non è configurabile alcun potere di controllo e, correlativamente, nessun obbligo in capo al titolare".
È vero – dice la Cassazione – che nel caso in esame il gestore aveva messo un cartello apposito fuori dal locale, ma non era servito a niente, neanche per "i rumori provocati dai veicoli degli avventori, che venivano parcheggiati in prossimità del locale e che, per effetto di improvvise accelerazioni e per lo stridio degli pneumatici, erano percepiti come una fonte di disturbo dai residenti", nonostante a poche centinaia di metri vi fosse un parcheggio riservato proprio agli avventori.
In ogni caso, non si trattava solo di rumori esterni all’esercizio, in quanto risultava dagli atti di causa che "il disturbo recato ai residenti dalla somministrazione di musica a volume altissimo ha costituito oggetto delle dichiarazioni di numerosissimi testimoni". Del resto, l’esercizio di un bar all’esterno del quale gli avventori provocano rumori molesti era già stato considerato dalla Cassazione esercizio di un mestiere rumoroso, tanto che è stato ritenuto legittimo anche il sequestro del locale, se arreca disturbo alle persone (n. 15346/2006).
Infine, è bene ricordare che nel 2014 è stato condannato per lo stesso reato il gestore di una discoteca i cui rumori, in ora notturna, provocavano disturbo al riposo delle persone abitanti nell’edificio in cui è ubicato il locale, in quanto il fastidio non era limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa. Quindi, "la propagazione delle emissioni sonore estesa all’intero fabbricato è sintomatica di una diffusa attitudine offensiva e della idoneità a turbare la pubblica quiete" (n. 23529/2014).
So bene che molti riterranno eccessiva questa severità dei giudici, ma bisogna anche considerare il grave danno alla salute che provoca una fonte di rumore notturno a chi vorrebbe dormire; tanto più che basterebbe un minimo di educazione e di rispetto per gli altri cittadini. Troppo spesso, infine, i Comuni sottovalutano la gravità dell’inquinamento acustico (rilevabile, peraltro, con un semplice fonometro) e, ad esempio, non ne tengono conto nel fissare gli orari di chiusura di un esercizio rumoroso sito in un popoloso quartiere residenziale.
Questo articolo è stato pubblicato su Il fatto quotidiano.it