Quale reato è stato commesso a Pomezia? E chi pagherà?
Le indagini sono ancora in corso ma potrebbe trattarsi di un ecoreato
Foto: Vigili del fuoco
È certamente prematuro parlare di responsabilità penale per il gravissimo incendio nel deposito dei rifiuti di Pomezia. La Procura di Velletri ha aperto un fascicolo per appurare le cause e le conseguenze dell’incendio, quindi, solo all’esito delle indagini si potrà parlare di eventuali responsabilità. Ma quali potrebbero essere i reati ipotizzabili?
Di certo, l’incendio colposo, se emergesse che l’incendio è stato causato da imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di norme; delitto punito con la reclusione da 1 a 5 anni. E per le conseguenze sull’ambiente? Da due anni sono entrati finalmente in vigore nel nostro paese i delitti contro l’ambiente (ecoreati) e, in questo caso, si potrebbero ipotizzare i reati di inquinamento o disastro ambientale. Il primo punisce con la reclusione da 2 a 6 anni (con una diminuzione da un terzo a due terzi per l’ipotesi colposa) "chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili… dell’aria…, di un ecosistema"; mentre il secondo prevede la reclusione da 5 a 15 anni (con una diminuzione da un terzo a due terzi per l’ipotesi colposa) se "abusivamente" si provoca l’alterazione grave o irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema ovvero "l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero di persone offese o esposte al pericolo".
Appare, quindi, a prima vista, evidente che per il caso di Pomezia vi è stato sia deterioramento sia compromissione dell’aria; quanto al "significativo e misurabile" la Cassazione ha chiarito che il primo aggettivo "denota senz’altro incisività e rilevanza", mentre "misurabile" può dirsi ciò che è "quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile”. E, quindi, vista la estensione dell’inquinamento atmosferico provocato, può ipotizzarsi oggettivamente il delitto di inquinamento ambientale.
Non può, tuttavia, escludersi, purtroppo, il disastro: di certo, il fatto è stato "rilevante" e la compromissione è stata molto "estesa", ma soprattutto migliaia di persone sono state esposte agli effetti della nube nera provocata dall’incendio. Occorre, quindi, effettuare appropriate (non facili e non brevi) indagini tecniche sia sulla composizione e ricaduta della nube sia sulla salute della popolazione, onde accertare se c’è stato anche un pericolo per la salute pubblica.
Qualche dubbio, a questo punto, deriva dall’uso, nella legge, dell’avverbio "abusivamente" che giustamente viene inteso dalla Cassazione in senso molto ampio ma che, in ogni caso, presuppone che, per ipotizzare l’inquinamento o il disastro ambientale, si provi almeno l’inosservanza di qualche prescrizione. Non basterebbe, quindi, la colpa "normale" cioè imprudenza, imperizia o negligenza come per l’incendio o l’omicidio. E, quindi, occorre estendere le indagini anche alla gestione del deposito di rifiuti, alla presenza di tutte le autorizzazioni, al rispetto di tutte le prescrizioni, ecc.
Ancora una volta, allora, ritorna la solita domanda: abbiamo leggi ed organi di controllo adeguati? Si poteva intervenire prima invece di strillare dopo che il disastro si è verificato? E chi pagherà per tutto questo?
Questo articolo è stato pubblicato su Il fatto quotidiano.it