L'Educazione cinofila? E' molto di più di...
... una semplice educazione del cane. Nella nuova collana della Siua.
Di Elisabetta Castelli - Siua, la Scuola di Interazione Uomo-Animale diretta dall’etologo Roberto Marchesini, ha realizzato a una nuova collana editoriale. Nell’ultimo saggio L’educazione cinofila. L’approccio cognitivo-zooantropologico è presentato lo stato dell’arte di una cultura cinofila che ha rivoluzionato il modo di intendere la relazione con il cane. Spesso si pensa che l’educazione cinofila voglia dire semplicemente insegnare al cane a diventare un “buon” compagno di vita in modo che sappia affrontare le più disparate situazioni che pone la quotidianità. In realtà, l’educazione cinofila è molto di più questo in quanto rappresenta un progetto culturale dove ad essere coinvolta è la coppia proprietario-cane, una binomio che grazie al percorso pedagogico intrapreso insieme cresce e si solidifica in un rapporto di mutuo apprendimento. Vivere con il cane richiede la messa a punto infatti, di una vera e propria cultura cinofila capace da una parte di dare risposte ai bisogni del cane, nelle sue diverse espressioni individuali o di razza, dall’altra di trovare delle soluzioni riferite agli spazi e agli stili della società nel suo complesso. In altre parole, nella consapevolezza di vivere in un mondo che ha lasciato alle spalle la cultura rurale, è indispensabile ricostruire questo incontro sulla base di una nuova alleanza che tenga conto in primis di cosa sia effettivamente un cane.
È a fronte di tutte queste considerazioni che all’interno dell’Istituto di ricerca e formazione Siua - Scuola di Interazione Uomo-Animale - fondato e diretto alla metà degli anni '90, dall’etologo Roberto Marchesini, che è sorta una riflessione sull’approccio e in generale sulle esperienze di cinofilia, per cercare di individuare il modo migliore per rispondere a un'esigenza sociale che stava emergendo e nello stesso tempo per adeguare la didattica alle nuove teorie riguardanti il comportamento animale. Il vivere con il cane nella società metropolitana richiedeva un apprendistato adattativo molto articolato e quindi la predisposizione di esperienze molto specifiche e differenti da quelle tradizionali. La rivoluzione cognitiva poneva in evidenza l'importanza di considerare gli animali come entità dotate di una piena soggettività e non come burattini mossi da fili e questo ovviamente andava a entrare in rotta di collisione con l'impostazione classica o behaviorista. Il rischio, infatti, è quello di pretendere da lui un ruolo e un’identità che non gli appartengono: i cani non sono peluche e non sono bambini, per rispettarli occorre venir incontro alle loro esigenze e preparare le loro capacità adattative attraverso un’adeguata batteria esperienziale condotta fin dai primi mesi di vita. Occorre educare il cucciolo, ma nello stesso tempo bisogna educare i proprietario, proprio per arrivare a una convergenza di stili che valorizzi un benessere condiviso nello stare insieme.
Questo è l’obiettivo che ci si pone con l’educazione cinofila, qualcosa di più della semplice educazione del cane: è un servizio di consulenza globale finalizzato a valorizzare la relazione. Educare le persone vuol dire renderle maggiormente consapevoli che il benessere psicologico del loro cane è la migliore garanzia per poter poi vivere in pienezza la relazione e per mettersi al riparo da difficoltà di gestione e dai problemi comportamentali che potrebbero comparire in futuro. Non è un compito facile perché richiede grandi doti di comunicazione, una notevole discrezione nell'interazione, per evitare di essere vissuti come invadenti la privacy, una spiccata attitudine a coinvolgere e a farsi seguire perché senza la piena alleanza della persona anche le informazioni più semplici non trovano traduzione.
Chi si occupa di educazione cinofila deve essere un buon consulente di relazione e la sua preparazione deve prevedere anche nozioni di base di comunicazione interpersonale e di gestione delle situazioni critiche. La parte consulenziale è basata sul saper fornire informazioni corrette e quanto più esaustive circa i bisogni di base del cane e le migliori prassi di gestione quotidiana, anche in relazione alle caratteristiche del contesto ambientale e familiare Può sembrare un paradosso ma l'educatore ha come primo obiettivo quello di far emergere il cane, cercando di portare in secondo piano quelle idee, pretese e aspettative che vengono proiettate sull’animale per mancanza di cultura cinofila. L'educatore deve aiutare la persona nel difficile compito di accettare il cane per quello che è sotto il profilo etologico, che non significa assecondare tutte le sue manifestazioni ma partire dai comportamenti normali impostando le corrette prassi di gestione. Facciamo un esempio: il cane è un predatore e non ci si può meravigliare se mette in atto comportamenti di questo tipo, nell'assurda pretesa di considerarlo un bambino. Occorre indirizzare il suo comportamento predatorio su target che siano soddisfacenti per lui e nello stesso tempo non costituiscano un problema per il proprietario. Non è negando la natura del cane che si riuscirà ad evitare comportamenti fastidiosi o che ci mettono in difficoltà. Far emergere il cane significa accrescere l’attenzione del proprietario sul proprio cane. L’educazione cinofila ha pertanto l’obiettivo di creare le migliori condizioni perché l’espressione etologica del cane possa realizzarsi in modo quanto più completo e coerente possibile, vale a dire possa emergere -“educere” in senso evolutivo, con il significato di poter venir fuori, germogliare, crescere - in pienezza in quel particolare soggetto. L'educatore dev'essere prima di tutto un consulente di relazione capace di trovare le migliori soluzioni per quel cane, nei suoi connotati individuali e di razza, in quella particolare situazione contestuale e familiare. Si tratta di un compito non facile che richiede apertura e disponibilità nell'ascoltare le richieste, flessibilità nel trovare le migliori soluzioni per il caso particolare, intuizione nel saper leggere anche il non-detto o il sottinteso, discrezione nel raccogliere informazione e dare consigli. Se è vero che l'educatore può impostare delle attività educative e quindi favorire certe esperienze, è altrettanto vero che la crescita psicologica e comportamentale del cane è un processo che si compie nella quotidianità. A fronte di tutto questo è evidente che l'educatore ha il compito non solo di educare il cane in modo diretto attraverso degli esercizi, che diventano a tutti gli effetti delle attività evolutive, ma deve altresì mostrare le corrette prassi di gestione ordinaria del cane ed essere in grado di dare risposte di integrazione del cane in quella particolare situazione.
Per comprendere l’approccio cognitivo-zooantropologico (cz) è indispensabile analizzare questi due termini e tradurli in parole semplici, pur nella consapevolezza di operare inevitabili semplificazioni:
1) avere un approccio cognitivo significa prima di tutto interpretare il cane attraverso un modello di descrizione e spiegazione della sua espressione del tutto differente da quei modelli che ritengono il comportamento il frutto di automatismi diretti, tipo stimolo-risposta; secondo l’approccio cognitivo il comportamento è, viceversa, l’esito di un’elaborazione complessiva della mente del cane, in altre parole una manifestazione che ricorda più un quadro che un interruttore;
2) avere un approccio zooantropologico significa ritenere la relazione il punto di partenza di ogni evento, sia interattivo che performativo, sia educativo che abilitativo, considerandola cioè qualcosa di estremante prezioso che va sempre tutelato a prescindere e che ha una priorità su tutto; secondo l’approccio zooantropologico il cane non può essere considerato uno strumento ma come partner, di conseguenza ogni intervento educativo che venga condotto nei suoi riguardi deve considerare il cane come fine e non come mezzo
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