Pro e contro dei cibi biologici
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Un gruppo di scienziati dell’unità di ricerca sulla conservazione della natura (Università di Oxford) ha condotto un progetto interessante sul reale impatto ambientale dell’agricoltura biologica e dell’agricoltura tradizionale.
Siamo da sempre abituati a pensare che laddove vengano eliminati pesticidi e fertilizzanti, la coltivazione del terreno non produca danni, ma è realmente così?
In base ai risultati dello studio pubblicato sul Journal of Environmental Management, se si calcola l’impatto ambientale per unità di area coltivata allora gli effetti nocivi sono effettivamente inferiori, ma se consideriamo l’unità di prodotto gli effetti sono addirittura maggiori!
I risultati sono stati ottenuti confrontando fra loro una settantina di studi europei e considerando come indicatori di confronto: il contenuto della sostanza organica nel suolo, le emissioni di ossido di diazoto, di ammoniaca e gas serra, le perdite di azoto e di fosforo, il consumo del suolo e dell’ energia, il potenziale di eutrofizzazione e di acidificazione dell’ambiente, la tutela della biodiversità.
Prendiamo in esame qualcuno di questi indicatori: per quanto riguarda i valori della biodiversità, generalmente dove viene praticata una coltivazione bio abbiamo una biodiversità superiore del 30%, ma c’è una buona percentuale di studi pari al 16% che descrive di un effetto negativo sulla variabilità della specie.
Rispetto alle emissioni di ossido di diazoto, di ammoniaca e di azoto, il potenziale di eutrofizzazione (cioè il potenziale di arricchimento nutrizionale) e quello di acidificazione (cioè la presenza di sostanze acidificanti) è maggiore nell’agricoltura biologica per unità di prodotto. E’ inferiore solo se consideriamo l’unità di area coltivata e questo potrebbe dipendere dal fatto che la resa dei terreni in cui non sono utilizzati pesticidi è decisamente inferiore, almeno del 25%.
Questo comporta, come effetto secondario, un maggior consumo di suolo per ottenere grandi quantità di prodotti, valore che viene poi equilibrato da una riduzione di inquinamento e consumo di energia legato al mancato trasporto dei fertilizzanti.
Per quanto riguarda le emissioni di gas serra non sono state riscontrate particolari differenze tra i due sistemi, anche se cereali, latte bio e suini ne producono in quantità maggiori.
Gli studiosi del gruppo di ricerca ritengono che una possibile soluzione possa essere quella di integrare le qualità dei due sistemi di coltivazione, cercando di ottimizzarle al meglio col fine ultimo di ridurre l’impatto ambientale.
Se è vero che per una coltivazione bio sono richiesti spazi maggiori, è pur vero che questo dipende dalla grande richiesta di produzione di cibo, fattore che difficilmente può essere tenuto sotto controllo.
Quale potrebbe essere allora una strategia d’intervento? Secondo Tuomisto e collaboratori bisognerebbe puntare sullo studio di ibridi che non contengano sostanze chimiche, dannose sia per l’uomo che per l’ambiente, ma che siano il frutto di incroci di piante. Bisognerebbe migliorare anche il controllo dei nutrienti del terreno, dei parassiti e delle erbe infestanti.
Speriamo dunque che l’attuale corsa al biologico vada di pari passo con i miglioramenti di cui sopra, con la diffusione di atteggiamenti e pratiche rispettose sia della terra che della salute dell’uomo.