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di Gianluca Felicetti

RIAPPARE LA FOCA MONACA IN SARDEGNA
di Gianluca Felicetti

Visita all’Area Marina Protetta di Capo Carbonara. Il triste ricordo
di un cetaceo nella Fontana di Trevi. Ma era il 1951…

10 settembre 2001 - L’estate è una stagione magica per il contatto con la natura in Italia, grazie alle vacanze per tanti vicino o lontano dal luogo di studio o lavoro. Si è più invogliati, forse, a scoprire l’ambiente, le ore di luce sono di più e poi, per la maggioranza, il periodo di vacanze vuol dire mare e così il sacchetto o la bottiglia di plastica gettati durante tutto l’inverno senza pensarci troppo, possono diventare oggetto di sconforto per una baia così rovinata o per un dibattito improvvisato fra gli ombrelloni.
Così, in questo caldo agosto, dalle parti della provincia di Cagliari per le vacanze, sono andato a visitare l’Area Marina Protetta di Capo Carbonara, l’estrema punta sud-orientale della Sardegna, da tre anni tutelata e gestita dal Comune di Villasimius.

Suddivisa in tre aree di diverso grado di protezione, l’Area marina che comprende anche le Isole dei Cavoli (brassica insulariscosì chiamata per la presenza di una pianta endemica presente solo qui) e Serpentara (per la presenza di un’altra pianta endemica il dracunculus muscivorus detto comunemente “acchiappamosche” dalla forma stagionale di serpente) è sorta fra mille difficoltà e resistenze per tutela, conservare valorizzare l’ambiente di una delle zone più turistiche dell’isola e che vive, in particolare nei 40-50 giorni centrali dell’estate un attacco turistico massiccio, oltre a promuovere una coscienza ambientale nella popolazione locale ed in quella vacanziera.
Il cammino è appena iniziato ma l’entusiasmo e la competenza delle associazioni e delle cooperative di gestione, lodi che tutti siete invitati a verificare di persona iniziando il vostro itinerario dal Centro Visite (per contatti: capocarbonara@tiscalinet.it) sorto nella quasi deserta struttura commerciale- per fortuna di impatto visivo limitato - del porticciolo di Villasimius, sono una garanzia per il prossimo immediato futuro.
Le collaborazioni con l’Università di Cagliari, l’Istituto Centrale di Ricerche Applicate al Mare-ICRAM,i vari progetti di studio e ricerca sulle specie vegetali ed animali già svolti o programmati, come quello della reintroduzione dell’aragosta rossa, completano il quadro di una non facile coniugazione fra la cementificazione (in alcuni tratti, seppure limitati, davvero strabordante), il reddito di pescatori e commercianti, la preservazione di un ambiente che è l’unica garanzia di durata nel tempo di un boom che vede un paesino di tremilacinquecento anime moltiplicarsi fino a ottantamila in agosto!

Stenelle e tursiopi, i delfini per tutti noi, non avevano perso mai contatto con la zona e prolificano adesso in quiete dopo i bui anni ’70 ed ’80 dove imperavano le infinite reti pelagiche derivanti portate qui anche dal Lazio e dalla Campania; il gheppio e la poiana volteggiano con sempre maggiore frequenza mentre i fenicotteri rosa continuano a popolare lo stagno di Notteri che quasi si fonde nella punta di Capo Carbonara collegando due mari apparentemente diversi. Ma “l’inquilino” più misterioso della zona odorosa di lentisco, mirto e asparago selvatico è la foca monaca avvistata e fotografata qui giusto un anno fa nell’agosto 2000 (lo scorso mese è stata la volta invece di un avvistamento nella penisola del Sinis in provincia di Oristano) proprio da alcuni turisti. La “rilevazione” fa bella mostra nel Centro Visite dell’Area, assieme a pannelli esplicativi della riduzione ai minimi termini della popolazione di questo cetaceo che fino a quaranta-cinquanta anni fa popolava copioso l’intera Sardegna e che invece, adesso, si è rifugiato in altri punti del Mediterraneo e nel Nord Africa.

Bene, girando fra fotografie, filmati ed una piccola “vasca” (che per fortuna non ha limitato la vita di alcuni pesci ma di qualche innocente paguro sì, ecco una pecca rilevata, soprattutto per la facilità con la quale al curioso turista si porge fuori dall’acqua l’animale) mi sono imbattuto in una sequenza davvero scioccante: nel 1951, certo cinquanta anni fa ma sono tanti o pochi a seconda dei punti di vista, un cucciolo di foca monaca è stato catturato a Cala Gonone e portato a Roma, destinazione zoo. Tutto “normale” per quei tempi, direte, sì ma con quale tappa intermedia? Fontana di Trevi! Sì il monumento, dove i responsabili del sequestro - di cui viene omesso il nome non credo in ossequio alla privacy - ebbero l’idea di far sguazzare il povero animale fra la curiosità dei passanti e la sanzione di un puntiglioso Vigile Urbano per “bagno non autorizzato di animale”. Il cucciolo, per la cronaca, sopravvisse poco più di qualche giorno e morì in un’altra “piscina”, quella a pagamento - ancora esistente - a Villa Borghese.
Certo questo oggi non potrebbe succedere. Con altri animali ed in altre forme, la mancanza di rispetto della vita si è trasformata così come, per fortuna, pian piano è sempre più forte anche il sentimento e le ragioni della loro tutela.

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