IL VALORE DI UN CAMBIO DI IDEA
Monica Mazzotto risponde a Carlo Consiglio sulla vivisezione.
8 giugno 2001 - Per Licia Colò
Carissima,
prima che procediamo con la collaborazione sarà bene che rispondi a una mia domanda: che cosa ci sta a fare nel Tuo staff una vivisettrice come Monica Mazzotto Zunino, che esibisce tranquillamente, nel dossier da Te distribuito oggi, ben tre pubblicazioni sul comportamento di piccioni a cui sono state asportate o danneggiate zone del cervello? Ricorderai certamente l'ondata di proteste che sollevò la notizia che nel Consiglio direttivo del WWF c'erano due vivisettori, i quali furono poi costretti a dimettersi. Non Ti pare di trovarTi in una situazione simile?
In attesa di una Tua urgente risposta Ti saluto cordialmente.
Carlo Consiglio
Risposta per le accuse di vivisezione
Mi sembra doveroso rispondere a Carlo e a tutti quelli che hanno scritto al portale www.animalieanimali.it contestando il fatto che tra i collaboratori ci fossi anche io, Monica Mazzotto. Motivo della protesta la presenza nel mio curriculum di lavori che testimoniavano un mio passato da vivisezionista.
Potrei iniziare affermando che avete perfettamente ragione e allo stesso tempo profondamente torto.
Sicuramente leggere un termine così pesante legato al mio nome mi ha ferito, ma poi nei toni duri ed intransigenti di Carlo e di alcuni di voi, ho ritrovato i miei toni di qualche anno fa, a dire il vero molti, quando da ragazzina cercavo di convincere mia madre a non indossare la pelliccia (ci sono riuscita!) e a scuola e per le strade raccoglievo le firme proprio contro la vivisezione. Vi chiederete poi cosa è successo e dove si sono divise le strade? Se avete cinque minuti cercherò di spiegarvi, non di giustificarmi, ma semplicemente di spiegarvi.
Poteri iniziare scrivendo che sin da bambina le uniche letture che mi interessavano erano quelle riguardanti gli animali, niente fumetti, ma libri di grandi etologi e biologi, come Lorenz, Tinbergen, Darwin e così via. Anche al livello pratico ero un’appassionata e appena ho avuto l’età giusta per potermi occupare di un animale ecco che nella mia vita sono comparsi cani e gatti. Per farla breve la mia vita e gli studi sono stati tutti indirizzati proprio verso di loro, verso gli animali. A chi mi chiedeva cosa volevo fare da grande rispondevo sempre sicura “l’etologa”. Ovviamente la mia strada mi portò a scegliere la facoltà universitaria di Scienze Naturali. La tesi che scelsi era definita di “campo”, niente laboratori, proprio perché la mia intenzione era quella di osservare gli animali e di cercare di capirli fino in fondo semplicemente con l’osservazione. La specie scelta, il rondone pallido, il luogo le falesie in Liguria e in Toscana, le colonie antropiche di Milano, Monza, Bergamo…e tanti altri luoghi dove mi recavo con il mio binocolo e il mio taccuino, proprio come un “vero etologo” di campo. La mia strada era sempre più legata agli animali e finita l’Università, tentai l’esame per entrare a far parte dei “pochi fortunati”, esattamente quattro l’anno che, selezionati tra tutti i partecipanti venuti da tutta Italia, vincono il cosiddetto “dottorato di ricerca in etologia”. Lo vinsi e il primo passo verso la mia carriera universitaria era compiuto.
Mi trasferì a Pisa dove si svolgeva il mio dottorato e iniziai a lavorare con i colombi viaggiatori per cercare di capire i meccanismi di orientamento di questi straordinari animali. Le prime dissonanze tra le mie convinzioni e la ricerca, li percepii quando mi ostinavo a chiamare gli animali con cui lavoravo, ancora senza vivisezione, con un nome e non con un numero. Per tutti era 100345, per me era “Ali bianche”, per il professore con cui lavoravo era 123098, io lo chiamavo “Pollo” a causa della sua difficoltà di apprendimento. Ma i sentimenti nella ricerca hanno le gambe corte e i problemi veri iniziarono al secondo anno quando il mio lavoro prese una strada poco per volta diversa. La semplice osservazione non bastava più a spiegare certi fenomeni e certi meccanismi. Visti i miei “brillanti risultati” fui inserita in un gruppo di ricerca internazionale dove per “capire” si applicava la neurofisiologia e la neuroetologia. Gli esperimenti che seguirono e da cui scaturirono le pubblicazioni incriminate, furono via via sempre più lontani dalla mia strada. Anche se mi sembravano crudeltà, cercavo di giustificarmi ponendo la conoscenza avanti a tutto. Per sapere “andava fatto”, per difendere bisogna conoscere…sembrerà strano ma non ho mai difeso così a spada tratta i piccioni come in quel periodo. Organizzavo conferenze proprio per dimostrare che sono animali intelligenti e degni del nostro (mio?) rispetto, e che la convivenza con loro fosse possibile e doverosa. Giustificavo a me stessa il mio lavoro con la convinzione che i dati ottenuti erano dei mattoni utili per costruire un muro con cui difendere i piccioni come tutti gli altri animali. Alcuni sacrifici per proteggere l’intera specie. Ci credevo, dovevo farlo. Come era ovvio, la mia strada, oserei dire il mio cuore non ha retto a lungo. Dopo notti insonni, profondi tormenti interiori di cui è inutile parlare in questa sede, la mia convinzione si è spezzata.
Non trovavo più la forza di rompere un gioco unicamente per capire il suo funzionamento. Quei corpi esanimi dei piccioni erano il “gioco rotto” che non avrebbe più funzionato, e la mia coscienza non riusciva più a risistemare tutti i pezzi di questo macabro puzzle. Non è stato un bel periodo.
Nonostante gli anni dedicati a tutto il mio lavoro, nonostante fino a quel punto non fossi mai riuscita a vedere la mia vita al di fuori dell’etologia, nonostante in quel momento per la mia carriera fosse “molto più conveniente” continuare, nonostante non avessi alternative lavorative, decisi di abbandonare la carriera universitaria.
Non mi sono mai sentita né un eroe per il mio dissenso, né una vigliacca per la mia rinuncia. Cercai unicamente di riflettere con i sentimenti e mi resi conto semplicemente che non ce la facevo. Che le gioie non ripagavano le angosce e la conoscenza non copriva la sofferenza.
Adesso so che ho fatto bene, adesso che mi occupo di divulgazione scientifica mi sento molto più apposto con i miei sentimenti. Forse con la forza di oggi non ripercorrerei la stessa strada, ma devo confessare che troverei sbagliato rinnegarla. I miei studi mi hanno portato molto vicina agli animali, sicuramente alle volte sbagliando, ma in ogni caso sono sempre stati parte della mia vita.
Permettetemi in conclusione un lieve tono polemico. Vorrei sottolineare come le opportunità di sbagliare si incontrano quando si compiono delle azioni. Sarei curiosa di sapere se tutti quelli che hanno scritto ed accusato, sono così privi di “peccato” unicamente perché non ne hanno mai avuta l’occasione! Devo ammettere che temo molto le forme di “intransigenza islamica”, i toni decisi e le esclusioni dei grigi, soprattutto nei casi in cui non si conosce la situazione. Perciò ho preferito considerare le lettere arrivate sul tema, non come accuse da cui difendermi, ma come legittime richieste di spiegazioni a cui spero di aver dato soddisfazione. Concludendo non me la sento di rinnegare il passato, o di barare omettendo nel mio curriculum certi lavori che ho fatto; mi sembrerebbe disonesto. Siamo il frutto del nostro passato, e anche i miei “vecchi errori” fanno parte del mio presente e creano insieme a tutto il resto, ciò che è oggi Monica e vi assicuro che non mi sento proprio una persona “cattiva”!
Monica Mazzotto
Monica, grazie di lavorare con noi.
Licia Colò e tutta la redazione di animalieanimali.it
Carissima,
prima che procediamo con la collaborazione sarà bene che rispondi a una mia domanda: che cosa ci sta a fare nel Tuo staff una vivisettrice come Monica Mazzotto Zunino, che esibisce tranquillamente, nel dossier da Te distribuito oggi, ben tre pubblicazioni sul comportamento di piccioni a cui sono state asportate o danneggiate zone del cervello? Ricorderai certamente l'ondata di proteste che sollevò la notizia che nel Consiglio direttivo del WWF c'erano due vivisettori, i quali furono poi costretti a dimettersi. Non Ti pare di trovarTi in una situazione simile?
In attesa di una Tua urgente risposta Ti saluto cordialmente.
Carlo Consiglio
Risposta per le accuse di vivisezione
Mi sembra doveroso rispondere a Carlo e a tutti quelli che hanno scritto al portale www.animalieanimali.it contestando il fatto che tra i collaboratori ci fossi anche io, Monica Mazzotto. Motivo della protesta la presenza nel mio curriculum di lavori che testimoniavano un mio passato da vivisezionista.
Potrei iniziare affermando che avete perfettamente ragione e allo stesso tempo profondamente torto.
Sicuramente leggere un termine così pesante legato al mio nome mi ha ferito, ma poi nei toni duri ed intransigenti di Carlo e di alcuni di voi, ho ritrovato i miei toni di qualche anno fa, a dire il vero molti, quando da ragazzina cercavo di convincere mia madre a non indossare la pelliccia (ci sono riuscita!) e a scuola e per le strade raccoglievo le firme proprio contro la vivisezione. Vi chiederete poi cosa è successo e dove si sono divise le strade? Se avete cinque minuti cercherò di spiegarvi, non di giustificarmi, ma semplicemente di spiegarvi.
Poteri iniziare scrivendo che sin da bambina le uniche letture che mi interessavano erano quelle riguardanti gli animali, niente fumetti, ma libri di grandi etologi e biologi, come Lorenz, Tinbergen, Darwin e così via. Anche al livello pratico ero un’appassionata e appena ho avuto l’età giusta per potermi occupare di un animale ecco che nella mia vita sono comparsi cani e gatti. Per farla breve la mia vita e gli studi sono stati tutti indirizzati proprio verso di loro, verso gli animali. A chi mi chiedeva cosa volevo fare da grande rispondevo sempre sicura “l’etologa”. Ovviamente la mia strada mi portò a scegliere la facoltà universitaria di Scienze Naturali. La tesi che scelsi era definita di “campo”, niente laboratori, proprio perché la mia intenzione era quella di osservare gli animali e di cercare di capirli fino in fondo semplicemente con l’osservazione. La specie scelta, il rondone pallido, il luogo le falesie in Liguria e in Toscana, le colonie antropiche di Milano, Monza, Bergamo…e tanti altri luoghi dove mi recavo con il mio binocolo e il mio taccuino, proprio come un “vero etologo” di campo. La mia strada era sempre più legata agli animali e finita l’Università, tentai l’esame per entrare a far parte dei “pochi fortunati”, esattamente quattro l’anno che, selezionati tra tutti i partecipanti venuti da tutta Italia, vincono il cosiddetto “dottorato di ricerca in etologia”. Lo vinsi e il primo passo verso la mia carriera universitaria era compiuto.
Mi trasferì a Pisa dove si svolgeva il mio dottorato e iniziai a lavorare con i colombi viaggiatori per cercare di capire i meccanismi di orientamento di questi straordinari animali. Le prime dissonanze tra le mie convinzioni e la ricerca, li percepii quando mi ostinavo a chiamare gli animali con cui lavoravo, ancora senza vivisezione, con un nome e non con un numero. Per tutti era 100345, per me era “Ali bianche”, per il professore con cui lavoravo era 123098, io lo chiamavo “Pollo” a causa della sua difficoltà di apprendimento. Ma i sentimenti nella ricerca hanno le gambe corte e i problemi veri iniziarono al secondo anno quando il mio lavoro prese una strada poco per volta diversa. La semplice osservazione non bastava più a spiegare certi fenomeni e certi meccanismi. Visti i miei “brillanti risultati” fui inserita in un gruppo di ricerca internazionale dove per “capire” si applicava la neurofisiologia e la neuroetologia. Gli esperimenti che seguirono e da cui scaturirono le pubblicazioni incriminate, furono via via sempre più lontani dalla mia strada. Anche se mi sembravano crudeltà, cercavo di giustificarmi ponendo la conoscenza avanti a tutto. Per sapere “andava fatto”, per difendere bisogna conoscere…sembrerà strano ma non ho mai difeso così a spada tratta i piccioni come in quel periodo. Organizzavo conferenze proprio per dimostrare che sono animali intelligenti e degni del nostro (mio?) rispetto, e che la convivenza con loro fosse possibile e doverosa. Giustificavo a me stessa il mio lavoro con la convinzione che i dati ottenuti erano dei mattoni utili per costruire un muro con cui difendere i piccioni come tutti gli altri animali. Alcuni sacrifici per proteggere l’intera specie. Ci credevo, dovevo farlo. Come era ovvio, la mia strada, oserei dire il mio cuore non ha retto a lungo. Dopo notti insonni, profondi tormenti interiori di cui è inutile parlare in questa sede, la mia convinzione si è spezzata.
Non trovavo più la forza di rompere un gioco unicamente per capire il suo funzionamento. Quei corpi esanimi dei piccioni erano il “gioco rotto” che non avrebbe più funzionato, e la mia coscienza non riusciva più a risistemare tutti i pezzi di questo macabro puzzle. Non è stato un bel periodo.
Nonostante gli anni dedicati a tutto il mio lavoro, nonostante fino a quel punto non fossi mai riuscita a vedere la mia vita al di fuori dell’etologia, nonostante in quel momento per la mia carriera fosse “molto più conveniente” continuare, nonostante non avessi alternative lavorative, decisi di abbandonare la carriera universitaria.
Non mi sono mai sentita né un eroe per il mio dissenso, né una vigliacca per la mia rinuncia. Cercai unicamente di riflettere con i sentimenti e mi resi conto semplicemente che non ce la facevo. Che le gioie non ripagavano le angosce e la conoscenza non copriva la sofferenza.
Adesso so che ho fatto bene, adesso che mi occupo di divulgazione scientifica mi sento molto più apposto con i miei sentimenti. Forse con la forza di oggi non ripercorrerei la stessa strada, ma devo confessare che troverei sbagliato rinnegarla. I miei studi mi hanno portato molto vicina agli animali, sicuramente alle volte sbagliando, ma in ogni caso sono sempre stati parte della mia vita.
Permettetemi in conclusione un lieve tono polemico. Vorrei sottolineare come le opportunità di sbagliare si incontrano quando si compiono delle azioni. Sarei curiosa di sapere se tutti quelli che hanno scritto ed accusato, sono così privi di “peccato” unicamente perché non ne hanno mai avuta l’occasione! Devo ammettere che temo molto le forme di “intransigenza islamica”, i toni decisi e le esclusioni dei grigi, soprattutto nei casi in cui non si conosce la situazione. Perciò ho preferito considerare le lettere arrivate sul tema, non come accuse da cui difendermi, ma come legittime richieste di spiegazioni a cui spero di aver dato soddisfazione. Concludendo non me la sento di rinnegare il passato, o di barare omettendo nel mio curriculum certi lavori che ho fatto; mi sembrerebbe disonesto. Siamo il frutto del nostro passato, e anche i miei “vecchi errori” fanno parte del mio presente e creano insieme a tutto il resto, ciò che è oggi Monica e vi assicuro che non mi sento proprio una persona “cattiva”!
Monica Mazzotto
Monica, grazie di lavorare con noi.
Licia Colò e tutta la redazione di animalieanimali.it