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di Licia Colò
di Licia Colò
MAJELLA: LA MONTAGNA DELLO SPIRITO
di Licia Colò
Un viaggio all’interno del parco abruzzese,
tra gli eremi immersi nel verde.
14 giugno 2001 - La montagna, per le sue vette spesso irraggiungibili, le sue pareti scoscese e le condizioni estreme, rappresenta da sempre un ambiente in grado di difendersi da solo, in cui la natura è quasi del tutto incontaminata. Per questo motivo, in ogni tempo, uomini dall’animo semplice, alla ricerca di sè stessi, hanno scelto questi luoghi e vi hanno trascorso la loro vita, immersi nella pace e nel silenzio: siamo nella Majella.
Il nome di queste montagne ha origini molto antiche, addirittura risaliamo alla mitologia greca. Maja, infatti, era la più bella e la più forte guerriera della mitologia greca. A sua volta aveva un figlio bellissimo che però venne gravemente ferito durante una battaglia. Maja, nel tentativo di curarlo, era venuta a conoscenza del fatto che proprio qui, in Italia, nell’Appennino centrale, esisteva una montagna, che si chiamava il monte Paleno, sulla quale c’era una pianta medicinale che sarebbe stata in grado di curare il proprio figlio. A quel punto partì, lasciò la Grecia, arrivò su questa montagna, sul monte Paleno e cercò questa pianta, ma tutto fu inutile, in quanto la vetta della montagna era ancora completamente ricoperta dalla neve. Vagò per giorni e giorni, ma alla fine suo figlio morì. Ecco, da quella volta la montagna, il monte Paleno, cambiò il suo nome e divenne il monte Majella. Fra l’altro, siccome su questa montagna c’è sempre vento, d’estate, d’inverno, insomma durante tutte le stagioni, e il vento passando su queste rocce fa un suono molto particolare, lo conosciamo tutti il rumore che fa il vento, la leggenda vuole che questo suono sia proprio ancora il dolore di questa dea, della dea Maja, che eternamente echeggerà su questa montagna.
Il viaggio in questa splendida terra, ci farà conoscere dei luoghi meravigliosi, perché in queste zone esiste una storia antichissima, una storia legata naturalmente alla natura, al nostro pianeta, ma soprattutto all’uomo, alla fede e anche alla magia.
Il Parco della Majella si estende su una superficie di circa 73.000 ettari, all’interno dei quali si trovano numerose riserve naturali che costituiscono il cuore stesso del parco. Sul versante di Pescara, la prima riserva che si incontra è quella della Valle dell’Orta, compresa fra il Massiccio della Majella e quello del Morrone. E’ una gola stretta e profonda, scavata nel corso dei secoli dal fiume Orta sulle cui rive si affacciano numerose grotte, nelle quali per millenni ha vissuto l’uomo preistorico. Le sue pareti rocciose sono ripide e delimitano un vero e proprio canyon ricoperto da una fitta e selvaggia vegetazione. Poco distante, proprio sulla montagna della Majella, l’ambiente cambia improvvisamente. Siamo nella Riserva naturale Valle dell’Orfento, la prima ad essere stata istituita in tutto l’Abruzzo. In alcuni punti si presenta dolce, solare e ridente, in altri coperta da un fitto bosco a cui fa da tappeto una moltitudine di foglie secche. E’ una valle ricca di acque e, nei pressi di piccole sorgenti usate in passato dai pastori o dai contadini, fiorisce una delle specie uniche della Majella, la pinguicola fiorii, una piccola pianta insettivora dal viola intenso. Oggi ne sono rimasti pochi e solo in qualche casa troviamo ancora la stalla con gli animali.
Sulla Majella sono molti gli ambienti ed i microclimi che si alternano con una straordinaria varietà di specie, talvolta rare ed altre addirittura uniche, e sono molti gli angoli ancora selvaggi, conservati quasi intatti nello scorrere dei millenni. E’ per questo motivo, per la sua solitudine ed il suo silenzio, per le sue gole, i suoi anfratti ed i suoi canyon, che la Majella è da sempre considerata una montagna sacra, ricca di antichissimi luoghi di culto. Uno di questi si trova ai confini della Riserva Naturale Fara S. Martino: è la piccola chiesa rupestre costruita nella grotta di S.Angelo di Palombaro. Pare fosse dedicata a Bona, la dea della fertilità e si narra che l’acqua che sgorgava al suo interno, raccolta nelle vasche, favorisse l’abbondanza di latte. Oggi di questa chiesa rimangono solo piccoli resti, una piccola abside con archetti pensili, in memoria della bellezza che fu.
La Majella, in passato, è stata anche terra di eremi, e molti resti, più o meno conservati, sono ben visibili ancora oggi. Per questo, un viaggio nel Parco della Macella può rappresentare anche un percorso a ritroso nel tempo in un ambiente puro sia per l’animo che per lo spirito. Alcuni eremi esistevano già prima del 1000, altri sono stati costruiti successivamente. Ai limiti della valle dell’Orfento, affacciato su una gola stretta e selvaggia, si trova l’eremo di Santo Spirito a Majella, uno fra i più antichi di questa montagna. Non si conosce con esattezza la data in cui fu eretto, ma alcuni studiosi pensano che sia addirittura anteriore al mille. Negli anni ha subito numerose trasformazioni ed oggi si presenta con una struttura molto semplice, ma ricca di fascino.
A circa 600 metri di quota, nel Vallone di Santo Spirito, si trova un altro eremo anteriore al mille, quello di San Bartolomeo di Legio. In questo luogo estremamente suggestivo Celestino visse per circa due anni con alcuni suoi compagni, dopo aver lasciato Santo Spirito a Majella.
Sono molte le leggende che aleggiano intorno a questi luoghi di culto. Ad una di esse è legata la fondazione dell’eremo di Sant’Onofrio di Serramonacesca, situato ai confini settentrionali del parco. Pare che qui, in epoca remota, fosse apparsa l’immagine sacra del santo, la quale, nonostante il trasferimento nella chiesa parrocchiale, ritornò sul posto, lasciando le sue impronte lungo il tragitto. L’eremo, immerso in una natura selvaggia e quasi incontaminata, è ancora oggi meta di numerosi pellegrini che, fiduciosi, si distendono sulla roccia dietro all’altare, nella cosiddetta “culla di Sant’Onofrio”, per curarsi dalla febbre o dal mal di pancia, secondo l’antico rito della litoterapia.
L’ultimo eremo che Celestino fece costruire fu quello di Sant’Onofrio al Morrone, dopo il 1290. Fu qui che egli trascorse gli ultimi giorni fino all’annuncio della sua elezione a pontefice e fu sempre qui che tornò dopo la sua rinuncia al papato e vi rimase fino a quando venne portato via ad opera di Bonifacio VIII. Oggi è stato quasi completamente ricostruito, ma la parte più suggestiva rimane l’antica grotta situata sotto l’eremo, in cui ancora oggi i fedeli si recano per bagnarsi con l’acqua di stillicidio o per strofinare le mani sulle pareti in ricordo di lontani riti ancestrali.
Per concludere il nostro viaggio nel parco, dopo esserci immersi nei profumi e nei colori degli antichi eremi, ci si può anche immergere - stavolta per davvero - nelle verdi e calde acque della Majella che è davvero ricca di torrenti e di sorgenti in cui l’acqua scorre limpidissima esaltando l’atmosfera di spiritualità che emana da questo luogo. Nella Riserva Naturale Fara San Martino le nevi ed i ghiacci, dopo un misterioso percorso sotterraneo, ritornano alla luce nelle fresche sorgenti del fiume Verde. Si trovano ad un’altezza di circa 415 metri s.l.m. nei pressi della cittadina di Fara San Martino e costituiscono uno dei più grandi complessi di risorgive della regione. Le loro caratteristiche sono eccezionali: l’acqua sgorga alla temperatura costante di circa 8 gradi. Vicino alla piccola chiesa di san Pietro scaturiscono direttamente dalle rocce e si raccolgono in una grande pozza di colore smeraldo.
Il nome di queste montagne ha origini molto antiche, addirittura risaliamo alla mitologia greca. Maja, infatti, era la più bella e la più forte guerriera della mitologia greca. A sua volta aveva un figlio bellissimo che però venne gravemente ferito durante una battaglia. Maja, nel tentativo di curarlo, era venuta a conoscenza del fatto che proprio qui, in Italia, nell’Appennino centrale, esisteva una montagna, che si chiamava il monte Paleno, sulla quale c’era una pianta medicinale che sarebbe stata in grado di curare il proprio figlio. A quel punto partì, lasciò la Grecia, arrivò su questa montagna, sul monte Paleno e cercò questa pianta, ma tutto fu inutile, in quanto la vetta della montagna era ancora completamente ricoperta dalla neve. Vagò per giorni e giorni, ma alla fine suo figlio morì. Ecco, da quella volta la montagna, il monte Paleno, cambiò il suo nome e divenne il monte Majella. Fra l’altro, siccome su questa montagna c’è sempre vento, d’estate, d’inverno, insomma durante tutte le stagioni, e il vento passando su queste rocce fa un suono molto particolare, lo conosciamo tutti il rumore che fa il vento, la leggenda vuole che questo suono sia proprio ancora il dolore di questa dea, della dea Maja, che eternamente echeggerà su questa montagna.
Il viaggio in questa splendida terra, ci farà conoscere dei luoghi meravigliosi, perché in queste zone esiste una storia antichissima, una storia legata naturalmente alla natura, al nostro pianeta, ma soprattutto all’uomo, alla fede e anche alla magia.
Il Parco della Majella si estende su una superficie di circa 73.000 ettari, all’interno dei quali si trovano numerose riserve naturali che costituiscono il cuore stesso del parco. Sul versante di Pescara, la prima riserva che si incontra è quella della Valle dell’Orta, compresa fra il Massiccio della Majella e quello del Morrone. E’ una gola stretta e profonda, scavata nel corso dei secoli dal fiume Orta sulle cui rive si affacciano numerose grotte, nelle quali per millenni ha vissuto l’uomo preistorico. Le sue pareti rocciose sono ripide e delimitano un vero e proprio canyon ricoperto da una fitta e selvaggia vegetazione. Poco distante, proprio sulla montagna della Majella, l’ambiente cambia improvvisamente. Siamo nella Riserva naturale Valle dell’Orfento, la prima ad essere stata istituita in tutto l’Abruzzo. In alcuni punti si presenta dolce, solare e ridente, in altri coperta da un fitto bosco a cui fa da tappeto una moltitudine di foglie secche. E’ una valle ricca di acque e, nei pressi di piccole sorgenti usate in passato dai pastori o dai contadini, fiorisce una delle specie uniche della Majella, la pinguicola fiorii, una piccola pianta insettivora dal viola intenso. Oggi ne sono rimasti pochi e solo in qualche casa troviamo ancora la stalla con gli animali.
Sulla Majella sono molti gli ambienti ed i microclimi che si alternano con una straordinaria varietà di specie, talvolta rare ed altre addirittura uniche, e sono molti gli angoli ancora selvaggi, conservati quasi intatti nello scorrere dei millenni. E’ per questo motivo, per la sua solitudine ed il suo silenzio, per le sue gole, i suoi anfratti ed i suoi canyon, che la Majella è da sempre considerata una montagna sacra, ricca di antichissimi luoghi di culto. Uno di questi si trova ai confini della Riserva Naturale Fara S. Martino: è la piccola chiesa rupestre costruita nella grotta di S.Angelo di Palombaro. Pare fosse dedicata a Bona, la dea della fertilità e si narra che l’acqua che sgorgava al suo interno, raccolta nelle vasche, favorisse l’abbondanza di latte. Oggi di questa chiesa rimangono solo piccoli resti, una piccola abside con archetti pensili, in memoria della bellezza che fu.
La Majella, in passato, è stata anche terra di eremi, e molti resti, più o meno conservati, sono ben visibili ancora oggi. Per questo, un viaggio nel Parco della Macella può rappresentare anche un percorso a ritroso nel tempo in un ambiente puro sia per l’animo che per lo spirito. Alcuni eremi esistevano già prima del 1000, altri sono stati costruiti successivamente. Ai limiti della valle dell’Orfento, affacciato su una gola stretta e selvaggia, si trova l’eremo di Santo Spirito a Majella, uno fra i più antichi di questa montagna. Non si conosce con esattezza la data in cui fu eretto, ma alcuni studiosi pensano che sia addirittura anteriore al mille. Negli anni ha subito numerose trasformazioni ed oggi si presenta con una struttura molto semplice, ma ricca di fascino.
A circa 600 metri di quota, nel Vallone di Santo Spirito, si trova un altro eremo anteriore al mille, quello di San Bartolomeo di Legio. In questo luogo estremamente suggestivo Celestino visse per circa due anni con alcuni suoi compagni, dopo aver lasciato Santo Spirito a Majella.
Sono molte le leggende che aleggiano intorno a questi luoghi di culto. Ad una di esse è legata la fondazione dell’eremo di Sant’Onofrio di Serramonacesca, situato ai confini settentrionali del parco. Pare che qui, in epoca remota, fosse apparsa l’immagine sacra del santo, la quale, nonostante il trasferimento nella chiesa parrocchiale, ritornò sul posto, lasciando le sue impronte lungo il tragitto. L’eremo, immerso in una natura selvaggia e quasi incontaminata, è ancora oggi meta di numerosi pellegrini che, fiduciosi, si distendono sulla roccia dietro all’altare, nella cosiddetta “culla di Sant’Onofrio”, per curarsi dalla febbre o dal mal di pancia, secondo l’antico rito della litoterapia.
L’ultimo eremo che Celestino fece costruire fu quello di Sant’Onofrio al Morrone, dopo il 1290. Fu qui che egli trascorse gli ultimi giorni fino all’annuncio della sua elezione a pontefice e fu sempre qui che tornò dopo la sua rinuncia al papato e vi rimase fino a quando venne portato via ad opera di Bonifacio VIII. Oggi è stato quasi completamente ricostruito, ma la parte più suggestiva rimane l’antica grotta situata sotto l’eremo, in cui ancora oggi i fedeli si recano per bagnarsi con l’acqua di stillicidio o per strofinare le mani sulle pareti in ricordo di lontani riti ancestrali.
Per concludere il nostro viaggio nel parco, dopo esserci immersi nei profumi e nei colori degli antichi eremi, ci si può anche immergere - stavolta per davvero - nelle verdi e calde acque della Majella che è davvero ricca di torrenti e di sorgenti in cui l’acqua scorre limpidissima esaltando l’atmosfera di spiritualità che emana da questo luogo. Nella Riserva Naturale Fara San Martino le nevi ed i ghiacci, dopo un misterioso percorso sotterraneo, ritornano alla luce nelle fresche sorgenti del fiume Verde. Si trovano ad un’altezza di circa 415 metri s.l.m. nei pressi della cittadina di Fara San Martino e costituiscono uno dei più grandi complessi di risorgive della regione. Le loro caratteristiche sono eccezionali: l’acqua sgorga alla temperatura costante di circa 8 gradi. Vicino alla piccola chiesa di san Pietro scaturiscono direttamente dalle rocce e si raccolgono in una grande pozza di colore smeraldo.