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di Daniela Peterlini

VALSAVARANCHE, L’AVVENTURA DIETRO L’ANGOLO
di Daniela Peterlini

Un viaggio straordinario all'interno del Parco del Gran Paradiso.

5 ottobre 2001 - Ho avuto la fortuna di girare il mondo, di arrivare in posti incontaminati in cui la bellezza della natura fa battere forte il cuore.
Mi sono emozionata innanzi a tramonti di fuoco e sono rimasta attonita nell’ascoltare la voce silenziosa del deserto. Ho nuotato vicino ad esseri, che quando ero bambina pensavo potessero esistere solo nelle favole e mi sono immersa nella semplice spiritualità di alcune popolazioni nepalesi.
Quando guardo il mio mappamondo scopro che pur avendo molto girato e visto, sono ancora tantissimi i posti in cui vorrei e potrei forse andare ed allora inizio con i miei progetti.
Mentre sfoglio i miei appunti un nome mi porta subito delle immagini molto belle per vedere le quali non è necessario allontanarsi troppo: Valsavaranche. Ed è proprio di questo piccolo lembo di natura che io desidero parlarvi. E’ situata al centro del Parco Nazionale del Gran Paradiso, sulla destra orografica di uno dei grossi immissari del Po, la Dora Baltea, fra le valli di Cogne e Rhemes Notre Dame, lungo il torrente Savara per circa 24 chilometri.
In questo angolo di paradiso pascolano in piena libertà su uno sfondo da perdere il fiato, in cui primeggiano vette, tutte al di sopra dei 3000 metri, stambecchi e camosci. I sentieri sono facili ed immersi nel verde dell’erba e del silenzio.
Chi volesse potrebbe, proprio partendo da questa piccola valle, senza percorrere sentieri troppo impegnativi arrivare sul Gran Paradiso a 4000 metri, l’unica montagna, così alta, interamente italiana. Ma non sono le ascensioni e le scalate le ragioni dei miei ricordi.
In primavera scendono a pascolare nei prati che qui conducono fino alle loro case e agli alberghi, gli stambecchi. Essi non hanno alcun timore dell’uomo. I maschi arrivano vicinissimi, brucano tranquillamente per nulla intimoriti, le femmine invece, che hanno la responsabilità dei piccoli, sono un pochino più riservate, se ne stanno a pascolare con i neo nati ad una distanza che esse giudicano di sicurezza.
In questo periodo puo’ tranquillamente capitare di affacciarsi alla finestra e di trovarsi viso a viso con uno di questi signori della montagna.
Durante una delle mie passeggiate arrivai in un punto in cui una magnifica cascata interrompeva la salita, trovai un sentiero un po’ più selvaggio e dietro ad una curva, nascosta dalla vegetazione c’era mamma stambecco; il piccolo era un po’ più in alto.Ci siamo guardate negli occhi, nei suoi ho visto la paura. Un attimo e questo magnifico esemplare si è arrampicato con un balzo ed ha raggiunto il piccolo per poi continuare a brucare.
Sono rimasta ad osservarli, non li ho fotografati perché anche il clic della macchina fotografica mi sembrava una profanazione. Poi alzando lo sguardo ho visto uno stambecco dall’aria vetusta che, seguito da un giovane se ne stava andando verso la montagna più alta e mi sono ricordata le parole di un forestale.
Quando uno stambecco è molto vecchio si allontana verso le cime più alte per andare a morire, ma non è solo, un giovane l’accompagna fino all’ultimo istante.
La valle è diventata ancora più silenziosa, non si sente più nemmeno il rumore del vento.
guardo intorno, vedo le cime bianche di neve, le guglie scolpite dal vento, il cielo, le nuvole e..comprendo il senso di questa lenta ultima salita.

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