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ARTICO: L'INDUSTRIA UCCIDE L'AMBIENTE

Entro il 2050, l’80% della regione a rischio.

Traduzione a cura di Fabio Quattrocchi
Fonte: UNEP - United Nations Environment Programme

14 giugno 2001 - Se l'industrializzazione andrà avanti con i ritmi attuali, entro il 2050 l'80% della regione artica sarà danneggiata dall'estrazione di minerali, di petrolio e gas, nonché dalla costruzione di porti, strade e altre opere. A farne le spese saranno soprattutto gli uccelli e i grandi mammiferi come il caribù, gli orsi polari, i lupi e gli orsi bruni.
Attualmente “solo” il 15% della regione artica è pesantemente danneggiata dalle infrastrutture e dalle attività umane. Ma se la ricerca di petrolio, gas e minerali, la realizzazione di opere come i progetti di dighe e l’estrazione di legname andranno avanti con i ritmi attuali, più della metà della regione subirà pesanti danni in meno di 50 anni. Ciò porterà alla scomparsa di interi ecosistemi e degli stili di vita degli indigeni, in un’area vitale per regolare il clima terrestre.
Nell'ultimo scorcio del XX secolo, l’Artico è stato esposto in maniera crescente all’esplorazione e allo sfruttamento industriale, oltre che alla crescita del turismo. L'aumento dell’estrazione di petrolio, gas e minerali, le reti di trasporto e gli insediamenti umani non indigeni stanno sempre più danneggiando il benessere delle popolazioni indigene e delle specie selvatiche.
Sono in corso diversi progetti per estendere le infrastrutture e accrescere lo “sviluppo” in regioni incontaminate come la penisola russa Yamal, nel Rifugio Artico dell’Alaska (dal quale Bush vuole estrarre il petrolio), e nella regione del Mare di Barents.
Sono state avanzate proposte per sviluppare su larga scala la rotta marina che attraversa il tetto del mondo per 5,600 km partendo dal Mare di Barents fino allo stretto di Bering. Un ampio utilizzo di questa rotta potrebbe ridurre significativamente il tempo di navigazione dall'Europa e dalla Russia all'estremo oriente. Ma gli esperti sono preoccupati per le conseguenze che lo sviluppo di tale rotta potrebbe comportare. Essa infatti farà sì che la regione artica subisca un ulteriore sviluppo industriale per sfruttare le risorse naturali della Siberia. Questo spingerà alla costruzione di nuovi porti e strade, e aumenterà l'accesso ai giacimenti minerari e petroliferi.
Le infrastrutture portano lo sviluppo industriale primario, ma anche sviluppo secondario (più incontrollato) in termini di immigrazione e insediamenti umani. Ciò aumenta il rischio di deforestazione, conflitti sociali, pascolo eccessivo, inquinamento dell’acqua, degrado del suolo e frammentazione degli habitat. Secondo l'UNEP, le recenti scoperte dimostrano che anche con tassi di industrializzazione stabili, (simili a quelli avvenuti nell'ultima parte dello scorso secolo), il 50-80% dell'Artico raggiungerà livelli critici di disturbo umano entro il 2050.
Il rapporto stima significativi livelli di disturbo anche con tassi di industrializzazione più bassi dell'attuale: circa il 40% della regione sarà altamente disturbata entro il 2050 anche con ritmi di industrializzazione dimezzati rispetto a quelli avvenuti dal 1940 al 1990. Se la crescita delle infrastrutture accelererà raddoppiando o aumentando del 200%, il 90% dell'Artico soffrirà di disturbo umano (sempre entro il 2050).
L'UNEP sostiene che vasti tratti della regione sono aree protette, ma molti ecosistemi chiave, specialmente nella parte meridionale, sono protetti in maniera insufficiente. Queste previsioni vengono da uno studio dell’UNEP col progetto “Global methodology for mapping human impacts on the Biosphere (GLOBIO)” che ha il compito di valutare gli impatti delle attività umane sull’ambiente. Studi simili verranno estesi alla foresta Amazzonica e all'Himalaya.
I grafici e il rapporto sono disponibili su questo sito web www.grida.no/prog/polar/globio/rovaniemi.htm

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