TRA I MONTI TOSCO-EMILIANI
di Licia Colò
Tra eremi, paesi medievali, parchi e torrenti dalle acque fredde
e cristalline, un viaggio inconsueto nelle terre dell’Emilia Romagna e della Toscana.
25 giugno 2001 - Un viaggio fra i monti dell’appennino tosco-emiliano alla ricerca di pace, verde e tranquillità. E’ questo l’obiettivo settimanale del nostro girovagare nella nostra bella penisola. In queste zone i torrenti sono riusciti nei secoli a creare nelle rocce delle voragini profonde nelle quali gorgogliano acque limpide e cristalline.
Siamo alle falde del Parco nazionale delle foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna sul versante delle Regione Emilia Romagna. Questa parte d’Italia, forse ancora poco conosciuta, è ricca di ambienti ancora intatti in cui è possibile percorrere itinerari interessanti a stretto contatto con la natura.
In questi ambienti è facile dimenticare i ritmi frenetici della vita cittadina, le persone di ogni età possono passeggiare tranquillamente da soli o in compagnia ed apprezzare a pieno quei minuti di serenità che la natura è sempre in grado di regalarci.
Lungo questi sentieri si trovano delle targhe molto interessanti che forniscono le informazioni riguardanti il Parco; sono scritte anche in breil in modo che i non vedenti possano sapere che, ad esempio, esiste ancora il lupo, circa venti esemplari e anche le aquile ed i tantissimi gli ungulati.
E dopo una breve camminata si arriva alla fonte del Chiardovo dove l’acqua termale è la stessa che arriva a Bagno di Romagna e viene poi utilizzata alle Terme. Alle spalle di questa fonte c’è Bagno di Romagna. I geologi sostengono che l’acqua che viene utilizzata alle terme di Bagno di Romagna compia un percorso davvero molto lungo che richiede tantissimi anni: addirittura settecento! Settecento anni per depurarsi, riscaldarsi, mineralizzarsi e uscire nuovamente in superficie; per questa ragione viene chiamata proprio l’acqua di Giotto perché dobbiamo fare un salto indietro nel tempo al secolo di questo grande pittore.
Bagno di Romagna è un antico borgo immerso nel verde dell’Appennino tosco emiliano ed è il centro più importante della Valle del Savio. Il suo nome deriva dal Latino balneum e testimonia come fin dall’antichità questo luogo fosse noto come centro termale. L’abitato è raccolto ma è ricco di interessanti testimonianze storiche come la basilica di Santa Maria Assunta, sorta in epoca medievale. La storia narra che questa chiesa sia stata costruita sui resti di un antico tempio pagano dedicato alle ninfe naiadi protettrici proprio di quelle fonti e di quelle acque termali che hanno reso tanto famoso questo posto.
Da Bagno di Romagna si può seguire il corso del fiume Savio fino al lago di Quarto. Questo lago si è formato nel 1812 a causa di una frana, poi successivamente è stata costruita una diga dall’Enel, e oggi si può venire qui a navigare soltanto con un permesso speciale proprio da parte dell’Enel, ma vi assicuro che ne vale la pena.
Spostandosi sul versante opposto dell’Appennino nella regione Toscana e ai piedi del monte Falterona incontriamo Stia. La sua origine è medievale è il centro storico abbarbicato su un piccolo rialzo e si sviluppò nei secoli grazie alla presenza dei castelli circostanti. La grande piazza oggi piazza Tanucci era il mercatale del vicino castello di Forciano il luogo in cui in passato gli abitanti delle valli limitrofe effettuavano gli scambi commerciali. Su di essa fanno ancora bella mostra di sé le facciate degli antichi palazzi signorili in cui vissero quei nobili che fecero la storia di questi luoghi. Il territorio di Stia fu inizialmente sotto il dominio del conte Antonio di Palagio ma nel 1402 dopo una cruenta battaglia, passò alla Repubblica fiorentina; in quel periodo questa cittadina divenne ricca e fiorente e la sua arte della lana venne conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Ancora oggi alcuni lanifici sono sopravvissuti alle molte crisi del settore tessile e producono un panno chiamato casentino dal nome di questa regione.
Lasciata Stia ci possiamo trasferire nell’alta valle dell’Arno, una vera oasi di verde nell’Appennino Tosco- Romagnolo; si trova in provincia di Arezzo, ed è considerata una delle terre più belle di tutta la Toscana.
Qui dall’undicesimo secolo fino al 1440 regnò la potente famiglia dei Guidi di cui rimangono quasi intatte le antiche dimore. La più importante è sicuramente il castello di Poppi, risale al dodicesimo secolo ed è uno dei meglio conservati di tutto il Casentino. Sovrasta tutto il paese e domina la piana di Campaldino; il castello dopo la sconfitta dei Guidi passò nelle mani della repubblica fiorentina che ne fece la sede del Vicariato del Casentino. E’ circondato da mura di cinta con merli guelfi e da un ampio fossato; per aumentare la protezione dell’ingresso c’è un piccolo edificio chiamato munizione, di struttura quadrata posto più avanti rispetto alla cortina delle mura in cui si trovava il dispositivo del ponte levatoio.
Dopo tanta storia possiamo riempirci gli occhi di verde nella famosa foresta di Camaldoli. Perché è famosa questa foresta? Perché fin dall’anno mille i monaci si sono presi cura delle piante con grande dedizione, amore e assoluta competenza. Pensate che nel 1520 il beato Paolo Giustiniani fece una legge che imponeva ai frati di piantare minimo 4 o 5 mila piante ogni anno insomma nessuno poteva distruggere il bosco e bisognava utilizzare il ricavato della vendita del legname per prendersene cura e migliorare le condizioni della foresta. Dal 1857 al 1859, quindi parliamo di meno di tre anni la foresta di Camaldoli fu arricchita di ben sessantamila piante. Nessuno aveva l’autorità di fare abbattere anche un solo albero a meno che non fosse autorizzato dal capitolo della comunità.
Sul punto più alto della montagna una splendida corona di questi abeti secolari difende ancora dai freddi venti del Nord l’antico eremo. Sempre nella foresta, a soli tre chilometri dall’eremo, incontriamo il monastero di Camaldoli. E’ un complesso dall’aspetto molto sobrio tutto raccolto attorno a un chiostro. In origine circa 900 anni fa era solo un piccolo ospizio che dava ristoro ai pellegrini che attraversavano l’appennino. Oggi invece è una massiccia imponente costruzione in cui però l’ospitalità è ancora considerata sacra, una delle attività a cui i monaci camaldolesi si dedicano con impegno.
In questi boschi di abeti e faggi secolari in passato vissero degli uomini che ebbero un rapporto davvero speciale con la natura, probabilmente il più famoso di tutti fu proprio San Francesco D’Assisi. Il Santo giunse in questi ambienti nel 1213 e ricevette in dono dal Conte Orlando Cattani di Chiusi un lembo di terra sulla cima di queste montagne. Un anno dopo, insieme ad alcuni compagni, iniziò a costruire alcune capanne e nel 1224 avvenne proprio qui un fatto importantissimo, San Francesco ricevette le Stigmate da Cristo.
Siamo alle falde del Parco nazionale delle foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna sul versante delle Regione Emilia Romagna. Questa parte d’Italia, forse ancora poco conosciuta, è ricca di ambienti ancora intatti in cui è possibile percorrere itinerari interessanti a stretto contatto con la natura.
In questi ambienti è facile dimenticare i ritmi frenetici della vita cittadina, le persone di ogni età possono passeggiare tranquillamente da soli o in compagnia ed apprezzare a pieno quei minuti di serenità che la natura è sempre in grado di regalarci.
Lungo questi sentieri si trovano delle targhe molto interessanti che forniscono le informazioni riguardanti il Parco; sono scritte anche in breil in modo che i non vedenti possano sapere che, ad esempio, esiste ancora il lupo, circa venti esemplari e anche le aquile ed i tantissimi gli ungulati.
E dopo una breve camminata si arriva alla fonte del Chiardovo dove l’acqua termale è la stessa che arriva a Bagno di Romagna e viene poi utilizzata alle Terme. Alle spalle di questa fonte c’è Bagno di Romagna. I geologi sostengono che l’acqua che viene utilizzata alle terme di Bagno di Romagna compia un percorso davvero molto lungo che richiede tantissimi anni: addirittura settecento! Settecento anni per depurarsi, riscaldarsi, mineralizzarsi e uscire nuovamente in superficie; per questa ragione viene chiamata proprio l’acqua di Giotto perché dobbiamo fare un salto indietro nel tempo al secolo di questo grande pittore.
Bagno di Romagna è un antico borgo immerso nel verde dell’Appennino tosco emiliano ed è il centro più importante della Valle del Savio. Il suo nome deriva dal Latino balneum e testimonia come fin dall’antichità questo luogo fosse noto come centro termale. L’abitato è raccolto ma è ricco di interessanti testimonianze storiche come la basilica di Santa Maria Assunta, sorta in epoca medievale. La storia narra che questa chiesa sia stata costruita sui resti di un antico tempio pagano dedicato alle ninfe naiadi protettrici proprio di quelle fonti e di quelle acque termali che hanno reso tanto famoso questo posto.
Da Bagno di Romagna si può seguire il corso del fiume Savio fino al lago di Quarto. Questo lago si è formato nel 1812 a causa di una frana, poi successivamente è stata costruita una diga dall’Enel, e oggi si può venire qui a navigare soltanto con un permesso speciale proprio da parte dell’Enel, ma vi assicuro che ne vale la pena.
Spostandosi sul versante opposto dell’Appennino nella regione Toscana e ai piedi del monte Falterona incontriamo Stia. La sua origine è medievale è il centro storico abbarbicato su un piccolo rialzo e si sviluppò nei secoli grazie alla presenza dei castelli circostanti. La grande piazza oggi piazza Tanucci era il mercatale del vicino castello di Forciano il luogo in cui in passato gli abitanti delle valli limitrofe effettuavano gli scambi commerciali. Su di essa fanno ancora bella mostra di sé le facciate degli antichi palazzi signorili in cui vissero quei nobili che fecero la storia di questi luoghi. Il territorio di Stia fu inizialmente sotto il dominio del conte Antonio di Palagio ma nel 1402 dopo una cruenta battaglia, passò alla Repubblica fiorentina; in quel periodo questa cittadina divenne ricca e fiorente e la sua arte della lana venne conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Ancora oggi alcuni lanifici sono sopravvissuti alle molte crisi del settore tessile e producono un panno chiamato casentino dal nome di questa regione.
Lasciata Stia ci possiamo trasferire nell’alta valle dell’Arno, una vera oasi di verde nell’Appennino Tosco- Romagnolo; si trova in provincia di Arezzo, ed è considerata una delle terre più belle di tutta la Toscana.
Qui dall’undicesimo secolo fino al 1440 regnò la potente famiglia dei Guidi di cui rimangono quasi intatte le antiche dimore. La più importante è sicuramente il castello di Poppi, risale al dodicesimo secolo ed è uno dei meglio conservati di tutto il Casentino. Sovrasta tutto il paese e domina la piana di Campaldino; il castello dopo la sconfitta dei Guidi passò nelle mani della repubblica fiorentina che ne fece la sede del Vicariato del Casentino. E’ circondato da mura di cinta con merli guelfi e da un ampio fossato; per aumentare la protezione dell’ingresso c’è un piccolo edificio chiamato munizione, di struttura quadrata posto più avanti rispetto alla cortina delle mura in cui si trovava il dispositivo del ponte levatoio.
Dopo tanta storia possiamo riempirci gli occhi di verde nella famosa foresta di Camaldoli. Perché è famosa questa foresta? Perché fin dall’anno mille i monaci si sono presi cura delle piante con grande dedizione, amore e assoluta competenza. Pensate che nel 1520 il beato Paolo Giustiniani fece una legge che imponeva ai frati di piantare minimo 4 o 5 mila piante ogni anno insomma nessuno poteva distruggere il bosco e bisognava utilizzare il ricavato della vendita del legname per prendersene cura e migliorare le condizioni della foresta. Dal 1857 al 1859, quindi parliamo di meno di tre anni la foresta di Camaldoli fu arricchita di ben sessantamila piante. Nessuno aveva l’autorità di fare abbattere anche un solo albero a meno che non fosse autorizzato dal capitolo della comunità.
Sul punto più alto della montagna una splendida corona di questi abeti secolari difende ancora dai freddi venti del Nord l’antico eremo. Sempre nella foresta, a soli tre chilometri dall’eremo, incontriamo il monastero di Camaldoli. E’ un complesso dall’aspetto molto sobrio tutto raccolto attorno a un chiostro. In origine circa 900 anni fa era solo un piccolo ospizio che dava ristoro ai pellegrini che attraversavano l’appennino. Oggi invece è una massiccia imponente costruzione in cui però l’ospitalità è ancora considerata sacra, una delle attività a cui i monaci camaldolesi si dedicano con impegno.
In questi boschi di abeti e faggi secolari in passato vissero degli uomini che ebbero un rapporto davvero speciale con la natura, probabilmente il più famoso di tutti fu proprio San Francesco D’Assisi. Il Santo giunse in questi ambienti nel 1213 e ricevette in dono dal Conte Orlando Cattani di Chiusi un lembo di terra sulla cima di queste montagne. Un anno dopo, insieme ad alcuni compagni, iniziò a costruire alcune capanne e nel 1224 avvenne proprio qui un fatto importantissimo, San Francesco ricevette le Stigmate da Cristo.