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di Piera de Sensi

QUANDO NON E' L'UOMO A FAR LO STILE
di Piera de Sensi

Dagli stemmi delle casate alle t-shirt, un excursus del binomio
uomo e animali dal Medioevo a oggi

14 giugno 2001 - Oscar Wilde aveva ragione nel sostenere che ognuno di noi, nei rapporti con gli altri, aspira ad apparire dotato di una spiccata individualità, che invece non si riscontra tanto facilmente nell’esistenza quotidiana. Alzi la mano chi non ha sognato almeno una volta di possedere il fascino o la grinta di un animale di razza per sedurre la persona amata, per imporsi in un contesto lavorativo, per affrontare in maniera vincente una scelta cruciale.
Evidentemente questa realtà è ben nota a stilisti, imprenditori e pubblicitari, il cui successo dipende dalla capacità di interpretare le latenti aspirazioni dei loro clienti potenziali. Tanto che il mercato della comunicazione aziendale è ormai diventato un vero e proprio zoo: coccodrilli sulle magliette, giaguari sui frontali delle automobili, cagnolini bianchi e neri sulle bottiglie di whisky, levrieri sui logotipi delle case di moda, cavalli al galoppo negli spot dei profumi. E questa lista potrebbe arricchirsi di centinaia di altri esempi di analogo impatto. Per non parlare di abiti, gioielli, accessori, arredi: non c’è animale che non abbia ispirato almeno una spilla, una cintura, un tessuto, un bottone, un soprammobile, una piastrella, la gamba di una sedia o il piede di una scrivania.
Certo, questa identificazione non è recente. Sin dagli albori della civiltà trionfavano leoni egizi, draghi cinesi, aquile romane o condor americani per simboleggiare il potere di un sovrano o la tradizione di un popolo. Sin dal Medio Evo non c’è stata famiglia aristocratica che non abbia raffigurato l’emblema di un animale sullo stemma del proprio casato.
Tuttavia solo nello scorso secolo, con l’avvento dell’era industriale e con l’affermazione di movimenti artistici ispirati all’identificazione con la natura, è nata la storia infinita tra design e stile animalista. Considerando che ci vorrebbe una trattazione enciclopedica per celebrare degnamente tutti coloro che hanno segnato le tappe più importanti di questa storia, forse è utile qualche flash su alcuni degli artisti del design che hanno maggiormente subìto il fascino animalista.
Fu un giovane apprendista orafo, sedotto dall’Art Nouveau, che convinse il suo datore di lavoro Cartier - già di suo grande innovatore della gioielleria - ad accogliere fra le sue creazioni spille a forma di animali. Il buon giorno si vede dal mattino: questo apprendista di appena 16 anni si chiamava Lalique.
In America, qualche decennio più tardi, i disegnatori di gioielli furono costretti dalla Grande Crisi a ripiegare sui bijoux. Attingendo agli animali, Kenneth Lane creò delle collezioni che diventarono mitiche negli anni ‘60 e ’70 alimentando uno sfrenato collezionismo. Ancora oggi le sue ranocchie e i suoi leopardi sono oggetti di culto.
Sono comunque gli stilisti di moda che, nel male o nel bene, hanno trasformato gli animali in protagonisti assoluti dell’immagine. Anche se il pericolo dell’estinzione era già noto, negli anni ’60 si realizzavano capi di tigre e di ocelot. Le sfilate erano un turbinio di mantelli di ermellino, cappe di lince, caftani di giaguari. Zibellini e cincillà non avevano segreti per le sarte degli atelier. Poi è arrivato il tempo della responsabilizzazione e della presa di coscienza, e visto che le tecniche attuali permettono qualunque tipo di “animal print” su tessuti, metalli e materiali vari, si è dato libero corso all’immaginazione.
Krizia non può fare a meno di dedicare ogni sua collezione a un animale, tanto che le è stato attribuito il complesso di Esopo. Valentino, con miracoli artigianali, riesce a realizzare con tessuti d’alta moda incredibili effetti zebrati. E il tema animalista è talmente onnipresente nella sua ispirazione da aver riservato una intera sezione della sua Mostra Retrospettiva allo zoo. Le donne di Versace, quando non sono aggressive e maestose come leopardi, sono disseminate di borchie raffiguranti la testa di una medusa, che campeggia inesorabile anche nelle sue collezioni di arredamento. Lo stilista Roberto Cavalli, animalista di nome e di fatto, ha catturato la magia della giungla per farla rivivere con un’esplosione di luci e di colori nei tessuti di sua creazione.
Dicevano gli antichi che il corpo è il contrappunto di una linea serpentina che è allegoria della vita. Noi preferiamo ancora una volta la pungente lucidità di Oscar Wilde, che sentenziò: “O si è un’opera d’arte o si fa di tutto per indossarne una”!

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