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LAURO TOSSICO, CAMOSCI AVVELENATI A COMO

Spinti dalla carenza di cibo, i camosci avrebbero brucato le foglie tossiche. L'assessore provinciale: "Ora bisogna togliere quegli arbusti al cianuro dai giardini".

2 luglio 2001 - Morti per aver mangiato foglie di lauro. La notizia, rimbalzata nei giorni scorsi dalle pagine telematiche de “Il Corriere della Sera” on line, ha creato più di una preoccupazione tra gli amanti di questi splendidi animali.
I 22 camosci e il capriolo trovati morti tra febbraio e marzo sulle montagne del Comasco, al confine con la Svizzera, potrebbero essere stati uccisi dalle foglie di lauro ceraso. Per gli esperti non ci sono dubbi: gli animali, spinti dalla carenza di cibo, si sono nutriti approfittando delle numerose siepi messe a difesa dei crotti e delle villette sui monti attorno al lago di Lugano. La conferma giunge dall'assessore provinciale all'Ecologia, Mario Colombo: “abbiamo trovato piante di lauro abbondantemente brucate. Sarà fatta un'autopsia su un altro capo, ma direi che il giallo è risolto".
Esiste anche un precedente, anni fa, a Bosco Carrega, un parco dell'Emilia dove alcuni caprioli furono trovati morti avvelenati dal lauro. Le foglie di questa pianta sono velenose in quanto contengono una tossina simile al cianuro, ma per provocare la morte devono esserne ingerite molte. Parecchie di più rispetto a quelle di oleandro, evitate da camosci e caprioli: bastano due o tre foglie di questo arbusto per uccidere.
"In effetti - conferma Alberto Colombo, responsabile del servizio veterinario dell'Asl nella zona di Porlezza - mi è capitato di vedere bovini e capre mangiare alcune foglie di lauro senza conseguenze". I camosci, trovando il lauro in un periodo durante il quale il cibo scarseggiava, di foglie ne hanno invece mangiate molte. "Quanto avvenuto deve essere un monito - prosegue l'assessore -. Come Provincia incentiveremo i proprietari dei crotti a togliere quelle siepi. Anche perché le piante di lauro, molto usate nelle abitazioni private sono pericolose anche per le persone e soprattutto per i bambini".
Il giallo degli animali morti non è però solo di questi giorni e risale ai primi mesi dell'anno: 15 camosci erano stati trovati nella zona di Santa Margherita, a Valsolda (alcuni erano precipitati dai dirupi sulla spiaggia); altri otto sul versante svizzero. Tutti erano morti negli stessi giorni, in una zona circoscritta e presentavano una sintomatologia anomala: emorragie ai bulbi oculari, edemi sottocutanei, cibo indigerito.
"Questo fatto - spiega il veterinario dell'Asl - ci aveva subito portato a escludere, o comunque a ritenere improbabile, l'ipotesi di una malattia infettiva. Gli esami condotti alla facoltà di Veterinaria dell'Università di Milano hanno poi confermato l'avvelenamento. Anche se ero convinto che fosse stato causato da topicidi". L'intossicazione da lauro è invece esclusa per i camosci morti in provincia di Bergamo. Anche per quelli trovati cadaveri in Alta Valbrembana che presentavano problemi agli occhi simili a quelli rinvenuti in provincia di Como. Spiega Claudio Monaci, dell'Istituto Zooprofilattico di Bergamo: "Gli esami effettuati su quelle carcasse hanno permesso di isolare il batterio della cheratocongiuntivite".
Sulla questione è intervenuto anche l’etologo Danilo Mainardi, secondo il quale “i camosci l'hanno mangiato perché non erano geneticamente attrezzati a riconosce il lauro come pianta velenosa: questa pianta non è una specie autoctona". Che quindi avverte: "Questa moria deve essere interpretata come un campanello d'allarme: manca il rispetto per le biodiversità". E' un po' come quando una persona mangia un alimento e sta male. A una prima intossicazione difficilmente ne segue un'altra. Perché quel particolare cibo viene riconosciuto come pericoloso prima di essere nuovamente ingerito. Continua Mainardi: "Mentre per gli uomini è l'esperienza a determinare il comportamento, per gli animali è un gene a far scattare il meccanismo di autodifesa. Un gene selezionato generazione dopo generazione".
I camosci morti nel Comasco sarebbero stati sprovvisti quindi del gene anti-lauro. "Il lauro è una pianta di origini asiatiche. E' stato importato in Europa da tempo ma è sempre stato utilizzato come pianta ornamentale. Gli animali selvatici non lo trovano normalmente sulle loro montagne. Ed è per questo che sono stati presi in contropiede".
Prima che una specie impari a riconoscere un nuovo elemento deve passare molto tempo. "Secoli. Ma il tempo non è l'unico fattore ad entrare in gioco. Il nuovo elemento deve essere presente su una superficie ampia e in modo costante". L'etologo mette in guardia: "Il rischio è che succeda quello che è accaduto con i pesci siluro. Dalle acque del Danubio sono finiti per sbaglio nel Po distruggendo molte specie autoctone con le quali sono entrate in competizione".

Fonte: Pet News http://petnews.it
Fonte primaria: Il Corriere della Sera On Line

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