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8 giu 01 - M. D'Amico
8 giu 01 - M. D'Amico
BUSH..A VIA! E IL CARIBU' NON C'E' PIU'!
8 giu 01 - M. D'Amico
8 giugno 2001 - Ci provò il padre, fallendo. Dodici anni dopo ritenta il figlio. Ed i caribù tremano al solo pensiero dei Bush. A difendere gli animali, in questa battaglia, ci sono anche gli indiani Gwich’in, i democratici di Al Gore e gli ambientalisti del mondo intero capitanati da Ian Thomas, il trentatreenne “martire verde” licenziato lo scorso marzo dal ministero degli Interni degli USA dopo aver pubblicato in Internet una mappa dei luoghi di riproduzione dei caribù in Alaska.
La contesa, infatti, si svolge nelle fredde terre nordamericane dove da sempre pascolano indisturbati i caribù che proprio in questi giorni si stanno dirigendo nelle pianure a nord, dopo 600 chilometri di marcia nella tundra ghiacciata. A metà mese i caribù arriveranno a destinazione, le femmine si staccheranno dalla mandria per partorire, a riparo da lupi ed aquile, e quindi saranno ancora più vulnerabili. Lo sanno bene anche gli indiani Gwich’in che vivono qui da sempre e sono consapevoli del fatto che un caribù appena nato è in costante pericolo di vita. Ed in proposito è noto un vecchio adagio che recita così: “anche una zanzara può uccidere un piccolo di caribù appena nato”. In questo caso, purtroppo per il nascituro e per l’intera famiglia, la zanzara potrebbe essere il minore dei mali visto che il pericolo più grande è rappresentato da George W. Bush e dai suoi pozzi petroliferi. Da Bush figlio ad Heisenhower il passo è breve. Fu infatti proprio quest’ultimo, nel 1960, a volere l’Artic National Wildlife Refuge (Anwr), 20 milioni di ettari di parco protetto nella punta nord-orientale dell’Alaska dove pascolano volpi, orsi, lupi e, per l’appunto, circa 140mila caribù. Il sogno di Dwight D. Eisenhower era quello di trasformare quest’immensa area d’Alaska in un paradiso incontaminato e selvaggio, l’ultimo d’America. Idea veramente ammirevole! Solo che il presidente democratico non aveva fatto i conti con i suoi successori repubblicani, vedi Bush padre, che nel 1989 predispose tutto e stava per installare le trivelle sulla tundra ghiacciata quando naufragò sulla costa dell’Alaska la petroliera Exxon Valdez e un po’ tutti insorsero contro questo folle progetto. Negli anni a seguire i repubblicani provarono a più riprese a mettere le mani, e soprattutto le trivelle, in Alaska ma non se ne fece mai nulla grazie anche alla prontezza ed alla caparbietà di Bill Clinton. Ma oggi si ricomincia daccapo. L’ex “petroliere” Bush jr. è deciso nell’estrarre i milioni e milioni di barili di petrolio in nome di una crisi energetica ventilata oppure vuole solo mettere le mani avanti per non incappare in problemi energetici futuri. E gli americani che dicono? Secondo gli immancabili sondaggi solo il 41 per cento è favorevole allo sfruttamento dei giacimenti in Alaska. Il Governo, invece, assicura che si utilizzeranno le cosiddette trivelle “sensibili” all’ambiente in una tundra dove peraltro, a detta degli stessi repubblicani, “in inverno c’è soltanto neve e freddo”. Ed in Alaska, i residenti che ne pensano? Loro sono per la maggior parte favorevoli alle trivelle. E ci mancherebbe altro! Il governo li paga per il “disturbo” con un indennizzo di circa duemila dollari ciascuno. E poi, anche nei paesini della tundra, si pensa che la costruzione dei pozzi di petrolio possa portare anche alla nascita di strutture utili alla cittadinanza come scuole ed ospedali. Diverso, invece, è il discorso per gli indiani Gwich’in che vivono nel sud dell’Alaska e tutta la loro vita è incentrata sui caribù e l’arrivo di trivelle, camion e tubi può davvero sconvolgere il delicato ecosistema nel quale questi animali vivono da sempre.
L’ora X ormai è prossima ma le speranze di salvare i caribù, per ora, non sono ancora del tutto nulle.
La contesa, infatti, si svolge nelle fredde terre nordamericane dove da sempre pascolano indisturbati i caribù che proprio in questi giorni si stanno dirigendo nelle pianure a nord, dopo 600 chilometri di marcia nella tundra ghiacciata. A metà mese i caribù arriveranno a destinazione, le femmine si staccheranno dalla mandria per partorire, a riparo da lupi ed aquile, e quindi saranno ancora più vulnerabili. Lo sanno bene anche gli indiani Gwich’in che vivono qui da sempre e sono consapevoli del fatto che un caribù appena nato è in costante pericolo di vita. Ed in proposito è noto un vecchio adagio che recita così: “anche una zanzara può uccidere un piccolo di caribù appena nato”. In questo caso, purtroppo per il nascituro e per l’intera famiglia, la zanzara potrebbe essere il minore dei mali visto che il pericolo più grande è rappresentato da George W. Bush e dai suoi pozzi petroliferi. Da Bush figlio ad Heisenhower il passo è breve. Fu infatti proprio quest’ultimo, nel 1960, a volere l’Artic National Wildlife Refuge (Anwr), 20 milioni di ettari di parco protetto nella punta nord-orientale dell’Alaska dove pascolano volpi, orsi, lupi e, per l’appunto, circa 140mila caribù. Il sogno di Dwight D. Eisenhower era quello di trasformare quest’immensa area d’Alaska in un paradiso incontaminato e selvaggio, l’ultimo d’America. Idea veramente ammirevole! Solo che il presidente democratico non aveva fatto i conti con i suoi successori repubblicani, vedi Bush padre, che nel 1989 predispose tutto e stava per installare le trivelle sulla tundra ghiacciata quando naufragò sulla costa dell’Alaska la petroliera Exxon Valdez e un po’ tutti insorsero contro questo folle progetto. Negli anni a seguire i repubblicani provarono a più riprese a mettere le mani, e soprattutto le trivelle, in Alaska ma non se ne fece mai nulla grazie anche alla prontezza ed alla caparbietà di Bill Clinton. Ma oggi si ricomincia daccapo. L’ex “petroliere” Bush jr. è deciso nell’estrarre i milioni e milioni di barili di petrolio in nome di una crisi energetica ventilata oppure vuole solo mettere le mani avanti per non incappare in problemi energetici futuri. E gli americani che dicono? Secondo gli immancabili sondaggi solo il 41 per cento è favorevole allo sfruttamento dei giacimenti in Alaska. Il Governo, invece, assicura che si utilizzeranno le cosiddette trivelle “sensibili” all’ambiente in una tundra dove peraltro, a detta degli stessi repubblicani, “in inverno c’è soltanto neve e freddo”. Ed in Alaska, i residenti che ne pensano? Loro sono per la maggior parte favorevoli alle trivelle. E ci mancherebbe altro! Il governo li paga per il “disturbo” con un indennizzo di circa duemila dollari ciascuno. E poi, anche nei paesini della tundra, si pensa che la costruzione dei pozzi di petrolio possa portare anche alla nascita di strutture utili alla cittadinanza come scuole ed ospedali. Diverso, invece, è il discorso per gli indiani Gwich’in che vivono nel sud dell’Alaska e tutta la loro vita è incentrata sui caribù e l’arrivo di trivelle, camion e tubi può davvero sconvolgere il delicato ecosistema nel quale questi animali vivono da sempre.
L’ora X ormai è prossima ma le speranze di salvare i caribù, per ora, non sono ancora del tutto nulle.